Ricordate “Corona App”, l’app sudcoreana volta ad arginare la diffusione del contagio da Covid19? Ebbene, in Italia sta nascendo “Immuni App”, la versione italiana molto simile alla “sorella” coreana.
Ma come funziona nel dettaglio?

 

Credit photo: ciaocomo.it

Immuni App nasce dall’esigenza di tracciare gli spostamenti della popolazione, non appena avrà inizio la cosiddetta “fase2”; sarà scaricabile su base volontaria e verrà testata dapprima solo in alcune Regioni (si auspica un utilizzo a livello nazionale a partire da metà maggio). Se un utente risulta positivo al Covid19, potrà dare il proprio consenso all’utilizzo dei suoi dati, in modo da tracciare tutti i contatti avuti nei giorni precedenti per poter ricostruire i suoi movimenti. Tramite un algoritmo, viene valutato il rischio di contagio e stilato un elenco di utenti da avvisare tramite smartphone: il messaggio arriverà dalle autorità sanitarie, che chiederanno di adottare un certo protocollo. Il contact tracing si attiva grazie alla tecnologia Bluetooth e presenta un diario clinico in cui l’utente potrà inserire il proprio stato di salute e la comparsa di eventuali sintomi. I dati raccolti vengono salvati sul dispositivo, a cui viene assegnato un codice che sarà visibile agli altri tramite il Bluethoot Low Energy. Solo nel caso in cui l’utente dovesse risultare positivo, si inizierà a tracciare tutti i movimenti.

Credit photo: ilmessaggero.it

L’ideazione di questa app ha suscitato diverse polemiche, relative in particolar modo alla gestione e sicurezza della privacy. Il governo, quindi, è corso ai ripari, prevedendo di adottare il modello decentralizzato della Apple-Google-Dp-3T. Grazie a tale modello, infatti, ogni smartphone genera un identificativo anonimo che non può essere de-anonimizzato in alcun modo. Nel momento in cui due cellulari “si incontrano”, si scambiano, sempre tramite Bluethoot, il proprio codice anonimo, che verrà cancellato dopo un tot di giorni (l’autorità sanitaria non ha ancora disposto qual è il limite temporale massimo). L’operatore sanitario, dopo aver identificato (tramite test, o sintomatologia) un nuovo caso di COVID-19, durante l’intervista di contact tracing (che verrebbe comunque fatta “manualmente” in assenza di app), fornisce al paziente un “codice di sblocco” che permette al paziente stesso – se vuole – di caricare i propri identificativi anonimi su un server.

A questo punto,  la lista dei codici  è verificabile da tutti i cellulari dotati dell’app. Solo il cellulare che “riconosce”  uno di quei codici avvisa con una notifica l’utente, che quindi è l’unico a sapere di avere avuto un contatto, e nemmeno “con chi”. Questo processo di validazione avviene tutto in locale sul nostro cellulare. Il server non contiene quindi né la lista dei contagiati né le chiavi per de-anonimizzare i contatti avvenuti; e interviene solo per “diramare gli avvisi”, con un carico enormemente ridotto rispetto a soluzioni centralizzate. Questo, oltre ad essere enormemente meglio dal punto di vista della sicurezza (infatti il server non conterrebbe sostanzialmente nessun dato “interessante” per un aggressore) rende fattibile erogare il servizio con un’infrastruttura in-house di tipo pubblico, anziché doversi appoggiare a fornitori esterni.

 

Fonti:
Agendadigitale.eu
Theitaliantimes.it

Ilsole24ore.com

 

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By Categories: NotiziePublished On: 23 Aprile, 2020

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