Questo mio breve appunto, seppur intrapreso attraverso una trattazione epistemologica del problema, cerca di strutturare un pensiero sui temi della Sostenibilità e si propone comunque di arrivare a descrivere i margini di alcuni degli approcci che mi sembrano più promettenti.
Per ciò che concerne la metodologia conoscitiva comunemente utilizzata nell’affrontare il tema, la sostenibilità sconta il prezzo della complessità che conforma la sua natura. Qui il termine complessità sta ad indicare il carattere di sistema non lineare con cui il principio di sostenibilità ambientale viene studiato al giorno d’oggi.

Per chiarire questo approccio, faccio un passo indietro per specificare meglio il carattere di complessità di un evento: alcuni fenomeni, che siano essi naturali o antropici hanno trovato fino a poco tempo fa nel modello di interpretazione lineare causa/effetto (figlio del pensiero scientifico empirista e positivista) un costrutto utile a capirne il funzionamento, studiarne gli effetti e prevederne i risultati. Un modello lineare d’interpretazione di un evento, infatti, ci da la possibilità di scomporre in sotto parti il problema e presume che la somma delle risoluzioni di tali sotto problemi possa coincidere con la soluzione del problema madre. Questo modello è stato determinante ed utile per capire e sviluppare soluzioni riguardanti una miriade di eventi che determinano ancora oggi la realtà in cui viviamo. Alcuni di questi eventi, però, non hanno trovato in un modello di interpretazione a carattere lineare una valida spiegazione del loro funzionamento.

In altre parole, non tutti gli eventi che studiamo – dai mercati al clima, dalle neuroscienze alla biologia – trovano nell’approccio lineare un buon modello di interpretazione e di studio. Per dirla tutta e per amore di precisione, bisogna confessare che tutti gli eventi della nostra realtà, da uno piccolo come quello che può considerarsi il gesto di un bambino nel lasciar cadere una pietra in uno stango ad uno complicato come quello che va sotto il nome di Sostenibilità Ambientale, possono essere studiati attraverso la lente della complessità e tramite un modello di interpretazione a carattere non lineare. Dico possono essere studiati perché il fine dello studio è fondamentale per scegliere lo strumento d’indagine.

Se infatti, ricalcando l’esempio del bambino, il fine del nostro studio vuole essere quello di conoscere con buona approssimazione le onde che la pietra provocherà nell’acqua dello stagno, determinarne l’altezza, la frequenza e l’ampiezza per capire se una di queste onde gli bagnerà i piedi allora un approccio di carattere lineare ci fornirà una risposta funzionale e, in tal senso, attendibile. Se invece l’obiettivo del nostro studio è capire in che modo quell’evento influenzerà la vita degli organismi vegetali ed animali presenti nello stagno fino a capirne quanti di questi organismi possono rischiare la morte, allora un modello di interpretazione lineare si rivela essere uno strumento poco attendibile.
Il motivo di una tale scarsa attendibilità risiede in differenti fattori. Il primo di questi è la numerosità delle cose in gioco: il numero eventi con cui gli esseri vitali dello stagno possono morire o meno; il numero di variabili delle condizioni di vita in cui lo stagno si trova; il numero di variabili che influenzano in qualche modo la caduta del sasso nello stagno; il numero di possibilità con cui gli elementi dello stagno interagiscono con gli elementi chimici, morfologici e fisici di cui è costituita la pietra. Potrei continuare nella descrizione delle variabili che influenzeranno la vita o la morte degli esseri dello stagno per molto tempo ancora.

Il secondo motivo risiede nella relazione che ogni variabile presa in considerazione instaura con tutte le altre variabili. Il numero elevatissimo di variabili e di possibili stati che ognuna di esse può assumere in funzione di un lieve mutamento di una sola delle loro sterminate relazioni, costituisce un tipo di problema che non può essere scomposto in sotto problemi. Dunque non corrisponde al vero, il fatto di immaginare che la risoluzione di questi mini-problemi determini la risposta finale. Questo per noi significa che il risultato delle condizioni di vita degli elementi nello stagno è qualcosa in più della somma (o almeno non coincide con la somma) degli stati delle singole varianti prese in considerazione come fattori determinanti per le condizioni di vita, a seguito della caduta di una pietra nello stesso stagno.

Al giorno d’oggi le teorie di sistemi complessi, (così vengono chiamati quegli eventi con caratteristiche di non linearità e con una moltitudine di fattori interconnessi tra di loro) vengono utilizzate per la costruzione di modelli di simulazione negli ambiti che riguardano le più interessanti branche della scienza, dalla psicologia alla macroeconomia, dalla geologia alla fisica. Questo è un punto che ritroveremo più avanti: ovvero è interessante notare come ci si sposta dal concetto di risultato tipico di un modello lineare, alla costruzione di modelli di simulazione naturale output dei modelli non lineari.

Il vantaggio nell’utilizzo di modelli non lineari unito alla enorme capacità di calcolo computazionale si esprime proprio grazie ai modelli di simulazione. Ovvero in surrogati dell’evento che si sta studiando ricostruiti al computer. Immaginiamo, ad esempio di voler studiare l’evoluzione di un ciclone nato nel bel mezzo dell’oceano Atlantico. Il nostro fine, dal carattere molto utilitaristico, in questo caso è quello di capire se evacuare o meno le coste orientali dell’America del nord, in vista di un possibile evento climatico catastrofico per le popolazioni di quei territori. Pertanto il sistema complesso Ciclone verrà simulato al computer attraverso un approccio olistico che terrà conto di tanti parametri o variabili e delle loro mutue influenze. Più parametri o variabili la simulazione al computer riuscirà a contenere nelle sue analisi e più attendibile sarà la simulazione. Più parametri immettiamo nella simulazione, più il grado di complessità del sistema aumenterà. A questo punto è lecito porsi alcune domande: come decidere quanti parametri inserire? Quali sono quelli più giusti da inserire? Quanti parametri sono sufficienti per una corretta emulazione? E così via.

La risposta a queste domande ci porta dritto al centro del discorso epistemologico sulla sostenibilità. La complessità di un sistema, qualunque esso sia e per di più quello che identifichiamo con il termine sostenibilità ambientale, non è una proprietà intrinseca del sistema stesso. È bensì sempre riferita alla descrizione che se ne dà. Come detto prima, dipende da come e quante variabili utilizziamo per descrivere e definire quel sistema.

Adesso però vale la pena ricordare che per definizione una descrizione di un evento della realtà è sempre una astrazione della realtà stessa, ovvero una sua riduzione. Un racconto che, per quanto esaustivo e ricco di parametri che lo definiscono, non potrebbe corrispondere mai alla realtà stessa. Dunque il concetto di descrizione porta con se una riflessione interessante: al massimo della sua potenza annullerebbe la sua ragion d’essere, smettendo di essere descrizione e diventando la realtà descritta.  Quindi, se da un lato il grado di complessità dei sistemi è tanto maggiore quanto maggiori sono i parametri che utilizziamo per descriverlo, dall’altro lato la descrizione che facciamo ogni volta è una riduzione di quell’evento stesso.

Ritornando all’esempio del ciclone, proviamo a descrivere tale evento: una volta lo descriviamo solo ed esclusivamente tramite il parametro “velocità dei venti al suo interno”, un’altra solo grazie al parametro “pressione atmosferica”, un’altra ancora attraverso il parametro “ostacoli che intercetta sul suo cammino”, e così via. Sappiamo bene che prese singolarmente, tutte queste variabili non descrivono in maniera esaustiva il ciclone. Nello stesso tempo siamo certi che più ne inseriremo, più saremo in grado di prevenire possibili catastrofi. Siamo altrettanto certi che i parametri che inseriremo saranno solo una parte di quello che immaginiamo possano descrivere in maniera esaustiva l’evento Ciclone.

Eppure gli scienziati continuano ad operare in questo modo, perché si è sicuri di due fattori: il primo è che in un sistema complesso un carattere fondamentale è la relazione di non linearità di tutti gli agenti all’interno del problema. Il secondo riguarda il nostro obiettivo: non si è in cerca di un risultato, ma bensì di una simulazione, ovvero di un modello previsionale abbastanza attendibile che ci restituisca qualcosa che è più della somma delle singole variabili che inseriamo.

Alla luce di queste semplici evidenze scientifiche sembra legittimo chiedersi quale sia il vero senso di alcuni obiettivi posti dai nostri governi che non affrontino questi problemi se non guidati dalla lente della complessità. Esempio lampante sembrano gli accadimenti all’agenda dell’ultimo G20 sul clima tenutosi a Napoli lo scorso Luglio. Se, infatti, è innegabilmente necessario abbassare la ripida ascesa della temperatura del nostro clima è altrettanto evidente che la disfatta del G20, ovvero il mancato accordo su tali obiettivi, nasce da una mancata interpretazione del problema nella sua accezione complessa. Infatti anche solo il comune senso pratico di politici, ovvero persone non tecniche o scienziati, è bastato per ritrovarsi concordi nel dire che un obiettivo tanto decisivo, il contenimento dell’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi per il 2025 era difficilmente raggiungibile.  Al di là degli interessi economici che i principali due oppositori di questo accordo, Cina e India, celano dietro motivazioni pseudo razionali, vi è da riscontrare un fondo di verità che si può condensare in questo assunto: quello che può essere considerato raggiungibile e vero per un paese di 50 milioni di abitanti è inapplicabile per un paese di 1,3 miliardi di persone. Tradotto alla luce delle teorie della complessità, questo assunto ha un senso.

L’aumento sproporzionato delle variabili in gioco (persone, aziende, interessi, territori, conflitti, aspirazioni, mercati, trend psicologici, pandemie, etc.) mina in maniera determinante il raggiungimento di un risultato che è considerato come la semplice somma di singole azioni, seppur virtuose.
Questo stesso assunto è quello che ha portato il nostro ministro per la Transizione energetica, che dalla scienza proviene, ad ammettere che un tempo di circa 9 anni è indispensabile affinché si producano risultati necessari sul clima e sulla sostenibilità, senza che il raggiungimento di questi porti ad una catastrofe economica e sociale. Ancora una volta i parametri e le variabili del sistema non possono essere trattati come indipendenti. Se lo si facesse, il risultato lineare lo si raggiungerebbe, ma il sistema resterebbe ancora non sostenibile.

Questo significa che non vi è soluzione? No. Questo significa solo che non vi è una soluzione.

Quello che sicuramente sappiamo è che la sostenibilità, ovvero la capacità di un sistema antropico/ambientale di sostenere se stesso e le sue condizioni di vita, è sicuramente annoverabile tra i CAS, i sistemi complessi adattivi, cioè tra quei sistemi dinamici con capacità di auto organizzazione.

Un esempio di sistema adattivo può essere ricercato in un termitaio. Il complesso di attività che definiscono la vita all’interno di un termitaio può essere descritto come un sistema dinamico complesso che si adatta a fattori interni ed esterni. Esso “..si organizza senza una qualche entità singolare atta a gestirlo o controllarlo deliberatamente. L’adattamento è raggiunto mediante la costante ridefinizione del rapporto tra il sistema e il suo ambiente (co-evoluzione)” De Toni e Comello (2005).

Il termitaio esprime sicuramente un principio di sostenibilità che si riversa come elemento positivo all’esterno dello stesso, ovvero nell’ambiente in cui vive, e all’interno dello stesso, cioè come capacità di assicurare la vita e il benessere di tutta la colonia. Ma sarebbe possibile raggiungere questi stessi risultati se il numero di termiti crescesse in maniere esponenziale? In natura una colonia di termiti riesce ad esprime sistemi avanzati di auto organizzazione, solo se alcune condizioni sono rispettate. Perché minuscoli esseri capaci di coordinarsi così bene da realizzare uno dei più efficienti e complessi apparati fisici, sociali e biologici non hanno mai realizzato un macro termitaio? Come ricordato in precedenza, alcuni comportamenti di un sistema così instabile come un CAS, possono svilupparsi e verificarsi solo in condizioni precise. Infatti, in particolari condizioni i sistemi complessi danno vita a comportamenti emergenti, ovvero ad eventi in cui non esiste un coordinatore o una mente pre determinista. Questi comportamenti causati da un principio di non linearità sono funzionali alla vita del termitaio, dell’ambiente in cui vive e, dunque, possiamo ritenerli sostenibili per l’accezione che ci interessa.

Alla luce di tutto ciò, viene da chiedersi se è ancora sensato proporre soluzioni per una sostenibilità ambientale se la stessa viene studiata con approccio di tipo riduzionista. Riportando tutto al nostro precedente esempio: ha senso proporre soluzioni globali per il contenimento dell’aumento temperatura che poi si rivelano inattuabili e fortemente compromettenti su altri aspetti del nostro vivere su questo pianeta? Potrebbe esserci una scala intermedia di territorio su cui lavorare con approcci specifici per assicurare una sostenibilità ambientale sociale ed economica, seppur di una comunità ristretta?  Potrebbero queste comunità instaurare mutue relazioni affinché il loro vivere incida nell’ambiente come fattore positivo? Potrebbero queste relazioni essere le variabili determinanti di una complessiva inversione di rotta nella lotta ai cambiamenti climatici, costruendo una rete per la sostenibilità ambientale?

Una delle scale territoriali più interessanti sulle quali alcuni studi si stanno concentrando e su cui continuare a lavorare, è rappresentata delle città. Come nei termitai, questi agglomerati di persone, interessi, materia ed energia, se messe in determinate condizioni, potrebbero arrivare ad esprimere sistemi peculiari di sostenibilità ambientale atti a tutelare non solo il nostro pianeta ma a garantire la vita dei propri abitanti nonché il benessere sociale ed economico dell’intera comunità.

La città infatti, affrancata dalla visione novecentesca di strumento per vivere, non più intesa come una macchina che deve funzionare, ha superato il modello razionalista e positivista lasciandosi alle spalle anche il suo paradigma biologico. Non è più vista come un organismo che vive e crescere in logiche che fagocitano tutto e ne fanno un una piovra che allunga giorno dopo giorno i propri tentacoli.

La città, la comunità, può finalmente trasformarsi in ambiente ovvero in un complesso di persone energia e materia capace di produrre un contesto tale dove può creare e sperimentare infinite soluzioni per la sua sostenibilità su questo pianeta.

Se gli obiettivi per il climate change dei grandi paesi industrializzati riuscissero a concentrarsi su scale e territori precisi, si attuerebbe un’agopuntura della sostenibilità dove la città potrebbe rappresentare il parametro di un sistema complesso su scala globale. Dove potrebbe evolvere in laboratorio di sè stessa che non cerca di essere aggiustata come le macchine o curata come un organismo. Capace invece di trovare in sè le risorse, i modelli e le sperimentazioni per assestare il proprio modello di vita, e quindi di sostenibilità, come parte integrante di un ecosistema complesso ed adattivo.

È possibile dunque ripartire dalla scala di città, da quella scala di sperimentazione che già ora nell’immediato può adottare modelli di transizione energetica realizzabile e declinare questi approcci nei vari ed eterogenei contesti e realtà del nostro pianeta?
La domanda, sicuramente di non facile approccio, è quella che nel nostro piccolo la Medaarch cerca di porsi tutti i giorni nel suo operato: È possibile sperimentare, su una scala territoriale gestibile, se l’operato di persone, aziende e amministrazioni possa attraverso le opportunità legate alle nuove tecnologie, costruire modelli più sostenibili per abitare il nostro pianeta?

Ai posteri l’ardua sentenza.

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By Categories: Big Thinking, NotiziePublished On: 15 Aprile, 2022

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